Month: November 2018

Appunti sulla Repubblica Romana

 

 

 

(M. Valentini) – A Villa Borghese, di fronte alla Casina Valadier, ci sono tre busti marmorei di importanti personaggi del Risorgimento italiano che sembrano guardare perplessi e forse un po’ sbigottiti le turbe di ignari turisti e gli esponenti di quella Roma “bene” e un po’ cafona, così ben descritta nel film “La grande bellezza“, che si recano al ristorante e al bar per VIP della Casina.

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I tre personaggi immortalati nel marmo sono: Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini: Triumviri della Repubblica Romana.

La Repubblica Romana del 1849 (da non confondersi con quella giacobina del 1799) fu costituita ufficialmente il 4 febbraio 1849 con il “Decreto fondamentale” emesso dall’Assemblea Costituente.

decreto fondamentale

L’Assemblea Costituente dello Stato romano era stata istituita con le elezioni del 21-22 gennaio 1849 a seguito dell’abbandono di Roma da parte del Papa Pio IX, avvenuto il 24 novembre 1848. Pio IX, infatti, non ritenendo più sicura la situazione a Roma dopo l’uccisione di Pellegrino Rossi, Ministro degli Interni e, ad interim, delle Finanze dello Stato vaticanoche si era rifugiato nella fortezza di Gaeta sotto la protezione del Re di Napoli. Nell’Assemblea Costituente furono eletti non solo cittadini del territorio dell’ex Stato pontificio ma anche cittadini di altri Stati italiani come Garibaldi o Mazzini. A Garibaldi e alla sua Legione italiana, che si era acquartierata a Macerata, fu dato diritto di voto in quanto risultavano al momento stipendiati dallo Stato romano ancorché in transito, forse verso la Sicilia o Venezia, dove ancora era in atto i moti rivoluzionari ed indipendentisti rispettivamente contro il Re Borbone e l’Austria. Garibaldi fu poi eletto deputato proprio nel collegio di Macerata. A Mazzini fu concessa la cittadinanza della Repubblica il 12 febbraio e poi fu eletto deputato nei collegi di Roma e Ferrara nelle elezioni suppletive del 18 febbraio. Questi atti servivano, tra l’altro, a rimarcare quell’aspirazione all’unità italiana della neonata Repubblica.

Il 29 marzo, l’Assemblea Costituente, per far fronte alla difficile situazione di emergenza, nominò un Triumvirato costituito, appunto, da Mazzini, Saffi e Armellini.

Triumvirato

Per il cospiratore di “professione” Giuseppe Mazzini, la partecipazione alla rivoluzione romana fu, probabilmente, l’esperienza politica di maggior rilievo della sua vita. La rivoluzione romana per Mazzini era il preludio di un’Italia libera e repubblicana, Roma aveva perciò un valore un forte valoro simbolico, qui non si combarreva solo per le riforme e contro il ritorno del Papa ma anche per una via all’unificazione italiana alternativa a quella piemontese e monarchica. Forse, questo eccessivo simbolismo dato alla città di Roma e una certa retorica del sacrificio e dell’esempio, potrebbe aver spinto Mazzini e il Triumvirato a far coincidere fin da subito la difesa dello Stato romano con la difesa dell’Urbe, non utilizzando in maniera sistematica azioni di contrasto in campo o azioni di guerriglia nei confronti degli eserciti nemici (azioni in cui invece Garibaldi avrebbe potuto dare il meglio). Dopo la fine della Repubblica Romana, Mazzini passerà gran parte del resto della sua esistenza come latitante all’estero (Londra, Lugano etc.), ricercato e condannato per la sua attività sovversiva e anti-monarchica sia in Italia che in Francia (morì da clandestino in Italia nel 1872).

Carlo Armellini era un affermato e stimato avvocato, esponente di quella borghesia romana illuminata che, sebbene non godesse di un’ampia rappresentanza politica, conviveva comunque abbastanza bene con il potere temporale dei Papi [1]. Si avvicinò alle idee di Mazzini dopo averlo conosciuto a Londra. Sostenitore delle riforme liberali inizialmente intraprese da Pio IX, fece parte del ricostituito Consiglio municipale di Roma nel 1847 ed in seguito del Consiglio dei Deputati dello Stato Pontifico, istituzione prevista dallo Statuto emesso da Pio IX. In seguito all’abbandono di Roma da parte del Papa, si schierò apertamente a favore della Costituente e della Repubblica. Dopo la fine della Repubblica Romana, andrà in esilio in Belgio dove morì nel 1863.

Aurelio Saffi studiò legge a Ferrara e fu eletto deputato nell’Assemblea Costituente a Forlì, sua città natale. Prima della nomina a Triumviro era stato Ministro degli interni della Repubblica. Repubblicano e massone, come molti protagonisti del Risorgimento italiano (in primis Giuseppe Garibaldi), dopo la caduta della Repubblica seguì Mazzini in esilio in Svizzera a Londra. Tornato in Italia nel 1852, fu coinvolto in varie attività cospiratrici di stampo mazziniano. Tornò spesso a Londra in esilio, dove tra l’altro si sposò con Giorgina Janet Craufurd, appartenente ad una aristocratica famiglia scozzese. Nel 1861, fu eletto nel Parlamento del Regno di Italia. Fu di nuovo inquisito per attività sovversive nel 1874, poi prosciolto. Nel 1877, si trasferì a Bologna dove insegnò Diritto all’Università. Morì a Forlì nel 1890.

Il territorio della Repubblica Romana, che ovviamente coincideva con quello dell’ex Stato pontificio, venne attaccato da nord dalle truppe Austriache, che occuparono Bologna e Ancona dopo una strenua resistenza, da sud dallo Stato borbonico e anche da un contingente di spedizione spagnolo. Ma chi mise materialmente fine all’esperienza della Repubblica romana fu l’esercito francese. Un contingente, comandato dal Generale Oudinot, era infatti sbarcato a Civitavecchia per “mantenere la sua [della Francia] legittima influenza” sulle terre pontificie”. Le truppe francesi arrivarono senza trovare nessuna resistenza fino alle porte di Roma. Il Triumvirato, infatti, nella speranza cdi trovare un accordo con la Francia, intavolò una serie di trattative, anche nella speranza che la situazione politica francese potesse cambiare a favore di un governo più di progressista che riconoscesse le istanze della Repubblica Romana.

Nella convinzione che non avrebbero trovato una forte resistenza neanche a difesa dell’Urbe, il 30 aprile, i Francesi provarono ad attaccare le mura vaticane all’altezza di Porta Pertusa, vicino Porta Cavalleggeri. L’esercito francese, a causa di vecchie mappe di Roma in loro possesso, non sapeva però che quella porta era stata murata parecchi anni prima. Questo primo attacco si risolse perciò con una forte sconfitta dei francesi, anche grazie ad una sortita della Legione comandata da Garibaldi a Porta San Pancrazio, al Gianicolo, che circondò e fece arrendere il battaglione francese che era giunto nelle vicinanze della Porta. I Francesi persero tra morti e feriti circa 500 effettivi oltre ad alcune centinaia di prigionieri e si ritirarono nella zona di Castel di Guido, sulla via Aurelia.

I Francesi comunicarono che avrebbero ripreso l’attacco a Roma il 4 giugno (a quel tempo si usava ancora comunicare la data della ripresa delle ostilità), attaccarono invece nella notte tra sabato e domenica 3 giugno ed occuparono in poco tempo la maggior parte delle ville nell’area del Gianicolo subito fuori le mura: Villa Doria Pamphilj, Villa Corsini, Villa Valentini, prendendo di sorpresa l’unico battaglione romano posto a presidio di quell’area strategica. Solo la Villa del Vascello resisterà a lungo, difesa dal contingente guidato da Giacomo Medici. Gli storici francesi, per difendere la Francia dall’accusa di non aver mantenuto la parola data, sostengono che con “inizio dell’attacco alla piazza di Roma” intendessero la piazza fortificata, delimitata dalle mura; pertanto le ville del Gianicolo dovevano intendersi al fuori dalla “piazza” di Roma, quindi potevano essere attaccate preventivamente.

Comunque, al di là del proditorio anticipo dell’attacco francese, resta il fatto che la principale zona strategica fuori dalle mura, dal Gianicolo si domina la città di Roma, fosse mal sorvegliata ed impreparata a subire l’urto principale dell’armata francese. I Francesi poterono perciò iniziare il vero e proprio assedio alla Città, bombardando da molto vicino le mura della città intorno a Porta San Pancrazio per aprirvi brecce e colpendo con facilità obiettivi all’interno della città (tiri di cannone raggiunsero anche la sponda sinistra del Tevere e il Campidoglio).

La Repubblica Romana, nonostante i molteplici atti di eroismo e i disperati tentativi di riprendere le posizioni fuori porta San Pancrazio, capitolò di fronte alle soverchianti truppe francesi dopo un mese d’assedio (le truppe francesi ammontavano a più di 30 mila uomini mentre circa 9-10 mila uomini mal armati difendevano la città). Bisogna, purtroppo, evidenziare che, oltre alla disparità numerica, nella difesa di Roma mancò una strategia unitaria ed un’organizzazione efficiente. Non aiutarono, inoltre, i personalismi e gli antagonismi, con Garibaldi che, ad esempio, reclamava l’investitura a “dittatore” in polemica con Mazzini e mal sopportava che fosse stato assegnato a Pietro Roselli, ex ufficiale della guardia pontificia, il ruolo di Capo di Stato Maggiore perché non lo considerava all’altezza. I limiti della strategia difensiva della Repubblica Romana furono sottolineati, per esempio, da Carlo Pisacane, ex ufficiale borbonico, che considerò un errore non aver tentato di attaccare i Francesi in campo aperto e aver loro permesso di assediare la Città.

L’Assemblea firmò la resa il 30 giugno e il 1° luglio il Triumvirato si dimise a favore di un secondo Triumvirato formato da Aurelio Saliceti, Livio Mariani e Alessando Calandrelli.

Le truppe francesi comandate da Oudinot entrarono in città il 3 luglio 1849 mentre l’Assemblea proclamava la Costituzione della Repubblica Romana.

Le chiavi di Porta San Pancrazio al Gianicolo sono esposte in una teca del Musée de l’Armée presso l’Hôtel des Invalides a Parigi come trofeo di guerra della vittoria dell’Armée della Deuxième République sull’esercito della Repubblica Romana.

Chiavi Porta SP

Come sopra accennato, comandava la difesa della zona del Gianicolo, dove si concentrò l’assalto francese, Giuseppe Garibaldi che era a capo di una delle quattro legioni poste a difesa dell’Urbe. Nella Legione, che contava meno di tre mila effettivi, erano confluiti i volontari garibaldini della Legione italiana, il battaglione degli studenti universitari e i circa trecento bersaglieri lombardi comandati da Luciano Manara, che qui cadde in uno dei tanti tentativi di contrattacco.

Garibaldi con un contingente di volontari, la sera del 2 luglio aveva lasciato Roma tentando di raggiungere Venezia che ancora resisteva all’assedio austriaco.

Il 3 luglio, mentre le truppe francesi entravano in Roma, dal balcone del Campidoglio veniva proclamata la Costituzione della Repubblica Romana.

Il Presidente della Repubblica francese, che mise fine alla breve esistenza della Repubblica Romana, era Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, figlio di Luigi Bonaparte (fratello di Napoleone Bonaparte, Napoleone I), che nel dicembre 1852 si farà proclamare Imperatore dei Francesi con il nome di Napoleone III. Così, dopo solo cinquant’anni dall’altra Repubblica Romana, quella giacobina instaurata a Roma nel 1798 dalle vittoriose truppe rivoluzionarie francesi comandate dall’allora generale Napoleone Bonaparte, il nipote di quest’ultimo mise fine alla Repubblica Romana del ’49. Una sorta di tragedia tra repubbliche “sorelle” che avevano in comune sia il richiamo agli ideali della rivoluzione francese del 1789 sia a quelli dell’antica Res Publica Populi Romani. Il richiamo alle virtù repubblicane dell’Antica Roma da parte dei rivoluzionari francesi, come Saint-Just, è evidenziato, ad esempio, da Albert Camus nel suo celeberrimo libro L’homme revolté [2].

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Stemma “Deuxième République française”

Anche nei simboli, il fascio littorio di Roma (che ancora rappresentava un simbolo repubblicano e non di dittatura!) fu preso ad emblema sia dai rivoluzionari francesi del 1789 che dalla Deuxième République così come dalla Repubblica Romana del 1849 [3].

Per ironia della Storia, al punto V dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Francese del 4 novembre 1848, era riportato: “Essa [la Repubblica] rispetta le nazionalità straniere così come intende far rispettare la propria, non intraprende nessuna guerra a fini di conquista e giammai impiega le sue forze contro la libertà di alcun popolo.

Carlo Luciano Bonaparte

Nell’ambito della cosiddetta petite histoire (neanche così petite vista l’importanza dei nomi in questione), ricordiamo che mentre il Presidente Carlo Napoleone Bonaparte esortava il Generale Oudinot a schiacciare la Repubblica capitolina, dall’altro lato della barricata, un altro Bonaparte si prodigava attivamente a difesa della Repubblica Romana: Carlo Luciano Bonaparte (Charles Lucien Jules Laurent Bonaparte). Egli era figlio di un altro fratello di Napoleone I, Luciano Bonaparte. Carlo Luciano Bonaparte, Principe di Canino nel viterbese [4], fu eletto deputato nell’Assemblea Costituente romana. Raggiunse fama internazionale come biologo e ornitologo. Nell’Assemblea diede un grande contributo all’azione legislativa, in particolare alla stesura della Costituzione della Repubblica Romana (per esempio, si batté nell’Assemblea affinché la Religione cattolica non fosse inserita nella Costituzione come Religione di Stato), distinguendosi per una grande eloquenza e retorica, a volte forse eccessiva [5].

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Maria Alessandrina Bonaparte Valentini

Anche una delle sorelle di Carlo Luciano Bonaparte, Maria Alessandrina, fu coinvolta nelle vicende della Repubblica Romana, in quanto sposò Vincenzo Valentini, nato a Canino e conte di Laviano, di idee liberali e verosimilmente affiliato alla Carboneria, anche egli eletto nell’Assemblea Costituente della Repubblica Romana e poi nominato Ministro delle Finanze durante il Triumvirato. Dopo il ritorno di Pio IX andò in esilio con la famiglia a Firenze. Si tolse la vita nel 1958 per ragioni non chiarite (alcune voci sostennero che entrò in crisi per l’incarico che aveva ricevuto da ambienti carbonari di assassinare Napoleone III, a cui era imparentato tramite la moglie).

In questo piccolo omaggio conclusivo ai portatori del mio medesimo cognomen che si schierarono con la Repubblica, permettetemi di ricordare Nicola Valentini e Giuseppe Valentini, ambedue romani e di 38 anni, caduti a difesa della Repubblica insieme agli altri 936 morti accertati di parte repubblicana ricordati nel Mausoleo Ossario garibaldino sul Gianicolo.

© 2018 Marco Valentini

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Note:

[1] Sicuramente in alcuni episodi della vita di Armellini sono rintracciabili alcuni elementi di opportunismo (cfr. Stefano Tommasini, 2008)

[2] A. Camus “, Édition Gallimard, 1951; pag. 159 e ss.

[3] Per esempio, Marco Iuno Bruto, che aveva ucciso il dittatore Cesare, era celebrato come eroe sia dai repubblicani francesi che italiani. L’uccisore di Pellegrino Rossi fu, da parte repubblicana, assimilato alla figura di Bruto.

[4] Il padre, Luciano Bonaparte, in dissidio con il fratello Napoleone I, si era rifugiato in Italia fin dal 1804. Dopo la caduta di Napoleone I e il suo esilio all’isola d’Elba, nel 1814 fu nominato Principe di Canino e Musignano dal Papa dopo aver acquistato tale feudo dalla Camera Apostolica.

[5] E’ stato scritto che la sua ars oratoria sfociasse, a volte, nella logorrea (cfr. S. Tommasini, op-cit., 2008).

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Riferimenti:

Camus A. “L’homme revolté”, Édition Gallimard, 1951

Tommasini S. “Storia avventurosa della Rivoluzione Romana”, il Saggiatore, 2008

http://www.canino.info

http://www.garibaldini.org

GIULIANO: CONTRA GALILEOS

Il 26 giugno del 363 d.C. moriva l’imperatore Flavio Claudio Giuliano (Flavius Claudius Iulianus), detto l’ “apostata” dai Cristiani, combattendo i Sasanidi in Persia. Era stato acclamato imperatore dal suo esercito solo due anni prima nel 361. In precedenza, nel 355, era stato nominato Cesare dall’imperatore Costanzo II, suo cugino, che aveva già fatto giustiziare Gallo, fratello di Giuliano, imputato di aver commesso efferati crimini ad Antochia, dove si era recato, dopo la sua nomina a Cesare, insieme alla moglie Costantina, figlia di Costantino I. Le spoglie di Costantina, detta anche Costanza, furono seppellite a Roma nel mausoleo a lei dedicato, adiacente all’omonima basilica lungo la via Nomentana).

Giuliano era nato a Costantinopoli nel 312, figlio di Giulio Costanzo, fratello dell’imperatore Costantino I da parte del padre Costanzo Cloro. Costanzo Cloro ebbe infatti due mogli, Helena madre di Costantino e Theodora madre di Giulio Costanzo.

Giuliano sopravvisse insieme al fratello Gallo, perché ancora bambini, alla strage fatta dei discendenti maschi della predetta seconda moglie di Costanzo Cloro, Theodora, nell’ambito della “cristiana” lotta per la successione che si era innescata alla morte di Costantino

Nonostante fosse stato cresciuto nell’ambito della Corte di Costantinopoli, dove il cristianesimo era predominante, i suoi studi classici lo avvicinarono ai filosofi neoplatonici e all’antica religione greco-romana.

Contrastò il cristianesimo sia sul piano religioso che filosofico, scrivendo a tal proposito un importante scritto, intitolato Contra Galileos (ossia i Cristiani) in cui confutava i principali dogmi e credenze della religione cristiana che, ricordava, era nata in Galilea e Palestina come scissione dalla religione ebraica. E Di quest’opera ci sono arrivate solo poche parti riportate da fonti indirette e poco obiettive, in quanto di parte cristiana come il Vescovo Cirillo di Alessandria.

Di seguito riportiamo un link dove è possibile consultare una versione italiana della citata opera di Giuliano.

Nonostante la sua aspra critica del cristianesimo, durante il suo breve principato non operò nessuna forma di repressione nei confronti del cristianesimo o di altre religioni ma anzi nel 362 emano’ un editto per la tolleranza delle religioni.

http://www.epitteto.com/GIULIANO%20CONTRA%20GALILEOS.html